circoli PRC dei comuni di:
Albano, Ariccia, Genzano, Nemi, Lanuvio, Velletri, Nettuno, Anzio, Ardea, Pomezia, Castelgandolfo, Marino, Grottaferrata, Frascati, Monteporzio, Montecompatri, Rocca di Papa, Rocca Priora, S. Cesareo, Zagarolo, Genazzano, Palestrina, Labico, Artena, Colleferro, Segni, Montelanico.

3/21/2013

FLASH MOB Giù le mani da Cipro! Contro l’Europa della Merkel e delle banche


di Paolo Ferrero -
Pieno appoggio e grande gioia per la vittoria dei comunisti di AKEL e delle altre forze della sinistra cipriota che hanno affossato il piano di Bruxelles di prelievo forzoso sui depositi bancari. È il primo atto di dignità di un parlamento europeo contro i diktat dei banchieri di Bruxelles. Il Parlamento italiano impari dai ciprioti e disdica immediatamente il Fiscal Compact con cui l’Italia subirà una devastazione anche peggiore di quella tentata ai danni dei ciprioti.

3/14/2013

Veniamo da lontano... guardiamo al futuro!|

Lettera ai parlamentari sulla Legge per il Reddito Minimo: #Approvatela!

#Approvatela! Oltre 50mila persone l’hanno già fatto! Lettera aperta alle elette e agli eletti per l’introduzione di un reddito minimo garantito

L’ultima tornata elettorale ha segnato una discontinuità forse storica nella vita politica del nostro Paese, foriera di sommovimenti di cui si fa ancora fatica a soppesare gli effetti. Ciò che invece, purtroppo, le elezioni in quanto tali non hanno potuto mutare è la condizione di profonda crisi in cui tuttora versa la società italiana. Gli ultimi rilevamenti dell’Istat ci hanno restituito ancora una volta un’immagine drammatica: sono 2,8 milioni le lavoratrici e i lavoratori precari, la disoccupazione è prossima ormai alla soglia inaudita del 12%, con punte che sfiorano il 40% tra le e i più giovani; in breve, la sussistenza stessa di milioni di persone è messa a repentaglio dalla spirale crisi-austerità. Siamo convinte e convinti che il prossimo Parlamento, quali che siano gli equilibri politici dei mesi a venire, non possa esimersi dall’intervenire per mettere argine a questa spirale discendente nella condizione di milioni di persone. Pensiamo che le elette e gli eletti alla Camera e al Senato non possano non avviare un dibattito e un processo legislativo affinché si giunga finalmente anche in Italia alla predisposizione, proprio contro la crisi e anche in chiave anticiclica e antirecessiva, di un meccanismo a garanzia del reddito di tutti le e i residenti. Chiediamo cioè che nei prossimi mesi si ci concentri sulla drammatiche condizioni materiali della vita delle persone e sulla necessità e l'urgenza di risposte immediate in questo senso.

Nel corso della campagna elettorale si è molto parlato, pur con diverse inclinazioni, di reddito minimo garantito. Con formule diversificate molte forze politiche attualmente in Parlamento hanno fatto riferimento ora al “reddito di cittadinanza”, ora al “reddito di sostentamento minimo”, ora al “salario minimo” e via dicendo. Molto meno si è parlato però di una straordinaria mobilitazione che da giugno a dicembre ha visto l’adesione di 170 associazioni e diverse soggettività sociali e politiche, con oltre 200 iniziative pubbliche e oltre 50.000 firme raccolte, per l'istituzione di un reddito minimo garantito anche nel nostro Paese (si veda il sito internet www.redditogarantito.it). La campagna di raccolta firme è stata promossa e condotta a termine con successo proprio per giungere alla presentazione di un disegno di legge di iniziativa popolare per l’introduzione del reddito minimo garantito.

La proposta di legge, modellata sugli schemi di tutela del reddito presenti nella maggior parte dei Paesi europei e rispettosa delle indicazioni in materia del Parlamento europeo, prevede un sostegno ai soggetti disoccupati, precariamente occupati o in cerca di prima occupazione pari a 600 euro mensili, oltre integrazioni in beni e servizi a carico delle Regioni. Al beneficiario del reddito minimo garantito saranno proposte eventuali offerte di impiego, purché le stesse siano effettivamente compatibili con la carriera lavorativa pregressa del soggetto e con le competenze, formali o informali, in suo possesso. Sono infine previste delle deleghe al Governo per la fissazione di un salario minimo orario e per il riordino degli ammortizzatori sociali e della spesa assistenziale in genere, allo scopo di rendere l’insieme del welfare italiano coerente con la nuova misura di garanzia dei minimi vitali. Saremo nei giorni immediatamente successivi all’insediamento delle Presidenze delle Camere presso gli uffici di Presidenza del Parlamento per consegnare formalmente le firme e il disegno di legge. Si tratta di un progetto attentamente studiato, sostenibile sul piano finanziario, discusso in decine e decine di assemblee pubbliche e che ha già trovato il consenso di associazioni ed elettori. Vogliamo che in Italia come nel resto d’Europa vi sia un reddito minimo garantito. Vogliamo che si discuta di una proposta nata dalla mobilitazione sociale: per questa ragione vogliamo che vi sia un vincolo di discussione per le proposte di legge di iniziativa popolare e l’audizione permanente dei soggetti proponenti.

Chiediamo ora alle e agli eletti un impegno in favore delle cittadine e dei cittadini, chiediamo che da parte dei e delle neoparlamentari via sia sin da ora una presa di parola pubblica che sostenga la proposta di legge o che sostenga la necessità dell’introduzione di un diritto al reddito, chiediamo che sia adottata con urgenza questa misura di contrasto alla crisi, chiediamo che sia al più presto avviata la discussione del disegno di legge di iniziativa popolare e che si giunga dunque finalmente anche in Italia all’introduzione di una misura di reddito minimo garantito.
Da troppo tempo l’Italia aspetta risposte e forme di regolamentazione nuove, adatte a fornire tutela al cittadino nell’epoca della crisi e della così detta “produzione flessibile”. Da troppo tempo il nostro Paese attende che vengano corrette le drammatiche carenze di un sistema di protezione sociale incapace di offrire tutele adeguate ai soggetti più esposti ai rischi di esclusione sociale, giovani, donne e lavoratrici e lavoratori precari primi fra tutti. Il tempo dell’azione è ora!

www.redditogarantito.it - redditominimogarantito@sxmail.it

3/11/2013

Ripensare al ruolo del PRC, documento del CPN del 9 e 10 marzo 2013

Il CPN del PRC esprime il proprio ringraziamento a tutti i compagni e le compagne che si sono impegnati con generosità e passione anche in questa difficilissima campagna elettorale, dimostrando che Rifondazione Comunista rimane una risorsa imprescindibile per la sinistra e la democrazia in Italia, un patrimonio umano e politico il cui valore nessuna soglia di sbarramento antidemocratica può cancellare.

Va riconosciuto il fallimento del tentativo di Rivoluzione Civile che non è riuscita a diventare il punto di riferimento per la domanda di cambiamento e la protesta di milioni di elettori. Hanno contribuito alla sconfitta elettorale sicuramente limiti soggettivi nostri e dei nostri interlocutori e alleati. In particolare il ritardo e la conseguente rapidità nel configurare lo stesso progetto ne hanno impedito una costruzione democratica e partecipata. Non va sottovalutato che la collocazione in alternativa al PD per il PRC era una scelta maturata da tempo e unanimemente condivisa all’interno, mentre per gli altri soggetti politici della lista si è trattato di uno sbocco obbligato a causa della chiusura del PD nei loro confronti. La stessa esperienza della Federazione della sinistra si era arenata sul nodo dell’alleanza con il PD. Anche un processo partecipato come quello apertosi con l’appello “Cambiare si può” è giunto troppo tardi per poter determinare un percorso condiviso di costruzione unitaria dal basso. Rivoluzione Civile, che pure avrebbe dovuto coniugare questione morale e questioni sociali ed economiche, non è riuscita a definire e a presentarsi con un profilo e un’identità forti dentro la campagna elettorale in cui sia la crisi economica che il rifiuto di una politica corrotta sono stati temi centrali.
L’esito elettorale, da cui esce vincente il movimento di Beppe Grillo, ha determinato un terremoto politico che fotografa una fortissima crisi di legittimazione dell’intero sistema dei partiti come articolatosi durante il ventennio del bipolarismo.
Il segno politico del voto è quello del rifiuto delle politiche di austerità e di bocciatura dei partiti che hanno sostenuto il governo Monti, la cui ombra ha ipotecato e pregiudicato anche la possibilità di affermazione di un centrosinistra che si è candidato a proseguire con più equità quell’impianto rigorista dettato dalla BCE. La stessa parziale tenuta di Berlusconi può essere spiegata con la paura da parte di ampi settori sociali storicamente rappresentati dal centrodestra, in particolare piccole imprese e lavoro autonomo, di diventare il bersaglio di un nuovo governo rigorista.
Il risultato di fondo che ci consegna il voto è lo scardinamento del bipolarismo che non possiamo che salutare positivamente ma senza nasconderci possibili involuzioni del quadro. Se la sconfitta dell’ipotesi di un governo Bersani-Monti costituisce un dato positivo, non possiamo escludere il profilarsi di una risposta conservatrice al terremoto in termini di blindatura ulteriore del sistema politico attraverso l’introduzione del doppio turno e del presidenzialismo. La stessa mancata vittoria del PD potrebbe produrre un ulteriore spostamento a destra dell’asse programmatico, mascherato da ringiovanimento della classe dirigente. Dentro questo quadro va rilanciata la nostra battaglia per il proporzionale e l’urgenza di risposte a un’emergenza sociale senza precedenti.
L’incalzare e l’approfondirsi della crisi e il malcontento suscitato dalle misure assunte per contrastarla, tanto inique quanto inefficaci, hanno determinato nel contesto italiano un rivolta dell’elettorato che si è espressa però non sul terreno della lotta di classe ma su quello della contrapposizione dei cittadini contro la casta.
A determinare questa dilagante percezione di massa non è stata soltanto la indubbia capacità comunicativa e “diversiva” di Grillo, ma le caratteristiche specifiche della situazione italiana a partire da una corruzione sistemica, una questione morale che i partiti non hanno voluto affrontare in termini di autoriforma, un clima di delegittimazione del Parlamento e della politica alimentato dagli stessi media dei “poteri forti”, la pervasività del lungo discorso antipolitico berlusconiano, il disarmo culturale agito dalla stessa sinistra di governo.
Ha pesato fortemente l’anomalia italiana di un mancato sviluppo del conflitto sociale di fronte al dispiegarsi di uno stillicidio di provvedimenti antipopolari.
Non può essere taciuta la responsabilità in tal senso di sindacati come Cisl e Uil che hanno coperto persino la strategia di Marchionne, ma anche la linea del gruppo dirigente della Cgil (con significative eccezioni a partire dalla Fiom) condizionata dal suo rapporto con un PD che sosteneva il governo Monti. La mancanza di ondate di movimenti di lotta paragonabili a quelle degli altri Paesi europei impone anche a noi e al resto della sinistra antiliberista una riflessione. Al tempo stesso impone la ripresa di una iniziativa del partito in sinergia con i movimenti a partire dalle prossime scadenze delle manifestazioni No Tav e No Muos.
Non va mai dimenticato che la nostra sconfitta è l’ultimo capitolo di una sconfitta più grande e storica che è quella del movimento operaio e di processi di atomizzazione sociale di lungo periodo che abbiamo da tempo analizzato e vissuto sulla nostra pelle, ma rispetto ai quali non siamo riusciti a determinare un’inversione di tendenza. Le nostre responsabilità soggettive si iscrivono dentro questo quadro.
Negli ultimi cinque anni abbiamo difeso con dignità e orgoglio Rifondazione Comunista. Il progetto intorno al quale ci siamo impegnati contemplava il rilancio del partito e la costruzione dell’unità della sinistra d’alternativa. Non possiamo non constatare che nessuno di questi obiettivi è stato conseguito. Il quadro di difficoltà dentro il quale abbiamo sviluppato la nostra iniziativa politica non ci esime certo da una riflessione senza reticenze sui nostri limiti, errori, insufficienze.
Si rende indispensabile aprire una fase di riflessione e confronto per ridefinire il ruolo di Rifondazione Comunista, con la consapevolezza che siamo di fronte alla chiusura del ciclo di Rifondazione per come l’abbiamo conosciuta e che sia ineludibile la necessità di rimetterci in discussione.
Ripensare il ruolo del Prc non implica rinunciare al progetto della Rifondazione Comunista ma cercare di individuare le strade per rilanciarlo sul piano dell’elaborazione teorica e programmatica, della pratica sociale, del radicamento, dell’organizzazione, della relazione con tutto ciò che si muove al di fuori di noi.
La sconfitta di Rifondazione e del complesso della sinistra radicale, che dentro la più grave crisi del capitalismo non sono riuscite in Italia a diventare punto di riferimento dell’ampio malcontento e del disagio sociale, costringe tutte le culture politiche e le esperienze organizzate a mettersi profondamente in discussione e ad attivare un processo di ricomposizione che non può essere riproposto in forme pattizie che non coinvolgono anzi accentuano l’ostilità e la diffidenza assai diffuse nei confronti dei partiti.
La profondità della sconfitta, nonostante la gestione unitaria del partito e una ampia condivisione della linea, impone un percorso di confronto ed elaborazione collettiva fondato sull’ascolto reciproco e sul coinvolgimento dell’intero corpo del partito a partire dal livello territoriale.
La riflessione che vogliamo collettiva non va ristretta entro le forme congressuali e della logica delle mozioni, ma sviluppata attraverso seminari tematici, assemblee territoriali, l’utilizzo di internet, coinvolgendo gli iscritti e con l’apertura al contributo di compagni della sinistra e dei movimenti. Sviluppare l’orizzontalità e partire dai contenuti sono due aspetti fondamentali per rendere fecondo e non rituale il percorso.
Lo stesso risultato del voto non smentisce l’asse della nostra battaglia politica di questi anni e neanche la collocazione difficile che abbiamo scelto nelle ultime elezioni. Milioni di elettori hanno scelto una proposta politica di rottura netta con il bipolarismo e che non si presentava come moderata. Al di fuori e contro il bipolarismo lo spazio si è allargato enormemente ma non è stata Rivoluzione Civile a occuparlo.
Rifondazione Comunista rimane e resta valida l’esigenza di costruire una sinistra antiliberista unita e autonoma dal centro-sinistra, alternativa rispetto a questo sistema politico.
Rifondazione Comunista da tempo è cosciente della sua non autosufficienza e quindi della vitale necessità della ricomposizione della sinistra di alternativa come in tutta Europa.
I successi recenti delle formazioni aderenti al Partito della Sinistra Europea ci dicono che è possibile uscire dalla marginalità senza rinunciare alla radicalità, alla coerenza sui contenuti e a una posizione di alternativa e di indipendenza rispetto a partiti di centrosinistra che hanno fatto proprie le politiche neoliberiste. Si tratta ora di compiere un salto di qualità dando impulso ad un percorso nuovo e unitario di rilancio e rinnovamento dell’intera sinistra di alternativa.
L’esperienza di questi anni e degli ultimi mesi ci induce a ritenere non riproponibili pratiche ‘pattizie’ e quindi a rilanciare la centralità della democrazia e del principio “una testa un voto” come metodo indispensabile per la costruzione di una nuova soggettività politica unitaria della sinistra e dei movimenti sociali antiliberisti, ambientalisti, contro la guerra.
L’apertura della discussione a tutti i livelli sull’esito elettorale, sulle prospettive del partito, sulla necessità di un suo rinnovamento (in primo luogo delle pratiche, delle modalità di intervento e dei gruppi dirigenti, anche sul piano generazionale) e sul futuro della sinistra non deve bloccare l’operatività del partito e l’iniziativa politica, a partire dalle prossime elezioni amministrative e da una forte partecipazione alle prossime scadenze di mobilitazione.
Al fine di coniugare il più ampio dibattito e il proseguimento dell’attività del partito il CPN individua i seguenti impegni:
- Partecipazione alle manifestazioni No ponte il 16 marzo, il 16 marzo a Firenze manifestazione antimafia, la mobilitazione No Tav il 23 marzo e quella No Muos il 30 marzo.
- Convocazione attivi di circolo e di federazione
- Convocazione dell’assemblea nazionale dei segretari di circolo e di federazione
- Convocazione periodica della riunione dei segretari regionali e di federazione
- Convocazione della conferenza programmatica entro il mese di luglio
- Convocazione del congresso straordinario nazionale entro novembre.
- Elezione della commissione politica per la stesura del documento congressuale e avviamento del percorso di approfondimento e dibattito anche attraverso seminari tematici nazionali e territoriali,
- La segreteria nazionale rimane in carica per garantire il proseguimento dell’iniziativa politica del partito e della gestione amministrativa fino al congresso.
Documento presentato dalla maggioranza della Commissione votata dal Cpn per il documento finale
La votazione del dispositivo finale è avvenuta per parti separate, gli ultimi tre punti sono stati approvati a maggioranza.

3/05/2013

Sintesi della relazione di Paolo Ferrero alla Direzione Nazionale del 1 marzo 2013


Innanzitutto voglio esprimere il profondo ringraziamento per i compagni e le compagne di Rifondazione Comunista che sono state la spina dorsale della campagna elettorale di Rivoluzione Civile. L’intelligenza e la generosità dei compagni e delle compagne di Rifondazione Comunista deve essere sottolineata perché il risultato elettorale brutalmente negativo non cancella l’importanza e l’indispensabilità di questa comunità.
La discussione che dobbiamo aprire a tutto campo dopo l’insuccesso elettorale deve quindi innanzitutto coinvolgere tutti i compagni e le compagne, perché questa comunità politica rappresenta il principale patrimonio da cui ripartire.
Per questo ritengo necessario che la segreteria nazionale rimetta il proprio mandato al Comitato Politico nazionale: è un atto dovuto dopo una sconfitta così pesante per aprire una discussione vera a tutti i livelli, non un segnale di scarico di responsabilità o peggio ancora di fuga.
Su questa base mi pare necessario che il Congresso che dobbiamo fare sia preceduto da un percorso di analisi, inchiesta e discussione che coinvolga tutti i compagni e le compagne e tutti coloro che al di fuori di Rifondazione sono interessati alla costruzione di una sinistra antiliberista in Italia.
In altri termini ritengo che non abbiamo bisogno di una resa dei conti all’interno del gruppo dirigente – che sarebbe un atto distruttivo del partito – ma di aprire una straordinaria fase di discussione che ridefinisca il ruolo dei comunisti nell’attuale fase politica. Il centro della nostra attenzione deve essere la ridefinizione di una proposta politica all’altezza dei problemi, scavando, analizzando, discutendo, in un percorso che riconsegni il destino del partito a tutti gli iscritti e le iscritte. A Rifondazione Comunista serve una proposta politica forte, non una rissa: da questo punto di vista il metodo è sostanza e il percorso che sceglieremo sarà decisivo per determinare la qualità del risultato.
La riunione della Direzione di oggi che sarà seguita dal Comitato Politico Nazionale del 9 e 10 marzo – che propongo di riunire in forma aperta con la partecipazione di tutti i segretari provinciali - è quindi un primo passo di questa discussione e la mia introduzione lungi dall’avere velleità di completezza, è solo un primo contributo in tal senso.
a. Com’è evidente le elezioni ci consegnano un quadro politico terremotato rispetto alla situazione precedente e con enormi difficoltà a dar vita ad un governo stabile. Ho citato molte volte Weimar per descrivere la situazione italiana, questo riferimento è tanto più corretto oggi. Oltre al bipolarismo è la Seconda Repubblica che è crollata in questa tornata elettorale. A partire da questo dato vorrei sottolineare due elementi. In primo luogo il voto è stato contro il sistema politico, per certi versi contro l’Europa e contro l’austerità. In particolare va sottolineato come l’assenza di un conflitto di classe generale – con una enorme responsabilità del sindacato - ha consegnato appieno il disagio sociale al tema della lotta al sistema politico e ai privilegi della “casta”. Così nelle elezioni ha vinto Grillo che ha rappresentato in pieno queste istanze, ha perso meno di quanto previsto Berlusconi, mentre è stato punito chi ha rappresentato le politiche dell’austerità (Monti) e chi più di tutti si è fatto carico nell’anno scorso della stabilità del quadro politico per realizzare quelle politiche (PD). Il terremoto non è quindi “neutro” ma sia pure in forme confuse esprime un disagio profondo verso le politiche di austerità. La seconda considerazione è che non dobbiamo scambiare questo terremoto con una rivoluzione. Non ci troviamo davanti all’apertura di una nuova fase ma all’esplicitarsi e all’aggravarsi della crisi organica della seconda repubblica e delle politiche neoliberiste. Dalle elezioni non emerge una alternativa ma l’amplificazione e l’evidenziazione della crisi organica del sistema, politico in primo luogo. Per questo la situazione politica è destinata a grande instabilità ed allo scontro di varie proposte politiche. Dalla proposta del PD di un dialogo con Grillo, alla proposta di Berlusconi di un governo di larghe intese finalizzato ad una riforma elettorale in senso presidenzialista, alle tentazioni della Lega Nord di usare la presidenza delle regioni del nord per praticare un vero e proprio scardinamento dell’assetto istituzionale del paese. Le variabili che si possono determinare sono molte e chiederebbero una relazione apposita per essere analizzate, cosa che non può essere fatta qui oggi. Analizzeremo meglio questa situazione in CPN.
b. La lettura delle elezioni come ulteriore elemento di crisi del sistema piuttosto che come fuoriuscita da questa crisi la si vede bene guardando alle caratteristiche del vincitore di queste elezioni, al partito di Grillo. Grillo non propone una piattaforma organicamente alternativa al neoliberismo. Grillo da voce ed amplifica ogni disagio sociale, lo riconduce sempre al tema della casta e del sistema politico occultando ogni radice di classe del disagio medesimo. Grillo fa leva sul senso comune di massa così come è stato prodotto da un ventennio berlusconiano e lo contrappone al sistema politico. Nella contrapposizione tra popolo e “partiti” vi è la cifra politica del successo di Grillo: sufficiente a scardinare un sistema in crisi, non a ricostruire una nuova realtà. Per questo credo che Grillo rappresenti un punto di passaggio della crisi più che il suo esito definitivo. Da questo punto di vista Grillo è indubbiamente un effetto – non neutro ma un effetto – piuttosto che una causa della deflagrazione del sistema o una soluzione alla stessa. Il punto non è la demonizzazione di grillo ma la comprensione della ragione del suo successo al fine di riformulare in modo efficace la nostra proposta politica di alternativa al neoliberismo e al capitalismo.
c. In questo contesto abbiamo il pesante insuccesso della lista Rivoluzione Civile. Qui occorre a mio parere discutere bene per vedere i problemi e correggerli per il futuro. A questo riguardo vi propongo solo tre considerazioni, una di natura strategica e due di natura tattica. Innanzitutto occorre confrontarsi se è stato giusto perseguire l’obiettivo di una lista di sinistra autonoma dal centro sinistra. Io ho sempre pensato e continuo a pensare di si. Penso che abbiamo fatto bene a posizionarci duramente contro il governo Monti, a dar vita alla manifestazione del 12 maggio contro il governo Monti ed a operare affinché la FdS diventasse il punto di coagulo di una alternativa di sinistra. Purtroppo dopo la manifestazione del 12 maggio la scelta degli altri soggetti della Federazione della Sinistra di inseguire il PD, hanno pesantemente indebolito questa prospettiva. Nonostante questo abbiamo continuato a cercare un percorso unitario a sinistra con la manifestazione No Monti day del 27 ottobre sia con Cambiare si può che da ultimo con Ingroia. Nella discussione che dobbiamo aprire mi pare sia necessario dare un giudizio chiaro sul percorso che abbiamo fatto e se confermiamo o meno l’obiettivo che abbiamo perseguito in questi anni e mesi. Su questo dobbiamo essere chiari. In secondo luogo è evidente che il modo in cui siamo riusciti a dar vita a Rivoluzione Civile è stato piuttosto abborracciato. Una parte delle forze che hanno dato vita a RC lo hanno fatto per necessità più che per convinzione e data la scarsità di tempi non vi è stato alcun percorso democratico nella costruzione delle liste. In terzo luogo penso però che le elezioni le abbiamo perse in campagna elettorale. La lista aveva una potenzialità di voto ben maggiore del 2% e tutti coloro che hanno fatto campagna elettorale lo hanno toccato con mano. Nella chiarezza che il superamento della soglia da parte di Rivoluzione Civile non avrebbe magicamente risolto tutti i problemi, voglio però dire con chiarezza che si poteva fare meglio. Per non citare che due problemi, la scarsa presenza dei temi sociali nel profilo complessivo della lista ed un continuo tentennamento nei confronti del PD che non ha permesso la definizione di una identità forte della lista. I limiti di impostazione e gestione della campagna elettorale hanno pesato molto: Chi votava PD votava per il meno peggio, chi votava Grillo votava per bastonare il palazzo, non siamo riusciti a comunicare chiaramente a cosa serviva il voto a Rivoluzione Civile. Io penso cioè che il risultato elettorale negativo non era iscritto nella presentazione della lista Rivoluzione Civile – pur con tutti i suoi limiti - ma sia stato il frutto di una incapacità di dare il senso compiuto di alternativa che pure nel programma di Rivoluzione Civile era assai ben espresso. Questo è a mio parere il punto politico centrale su cui occorre riflettere e scavare: la capacità di dotarsi di una cultura e di una proposta politica in grado di reggere a livello di massa il nodo dell’utilità di una sinistra antiliberista nel nostro paese.
d. In questo contesto, in cui la crisi è entrata in una fase ancora più acuta, mi pare necessario ragionare da dove ripartire per costruire una sinistra anticapitalista all’altezza del livello dello scontro. Non si tratta di una discussione burocratica ma piuttosto di ragionare sui nodi fondanti il senso della nostra militanza comunista qui ed ora. Lo dobbiamo fare tenendo d’occhio le scadenze politiche ravvicinate ma soprattutto aprendo un dibattito di fondo. Dobbiamo arrivare ad un Congresso che ci aiuti a fare un passo in avanti a partire da una ipotesi politica forte. Io penso che dobbiamo ripartire da due elementi: in primo luogo Rifondazione Comunista, che deve innovare profondamente le modalità di funzionamento e di organizzazione, ma che rappresenta oggi – pur nelle difficoltà – la principale risorsa per la costruzione di un polo della sinistra di alternativa in Italia. In secondo luogo la necessità di riprogettare in modo unitario ed innovativo un percorso di aggregazione della sinistra antiliberista che raccolga tutti coloro che sono disponibili a questa prospettiva, a partire da coloro che la condividono all’interno di Rivoluzione Civile. Credo cioè che dobbiamo aprire un percorso di analisi inchiesta e discussione per mettere a nudo le insufficienze che ci hanno caratterizzato e precisare meglio il nostro progetto. Lo dobbiamo fare in una discussione larga, che coinvolga tutto il mondo della sinistra antiliberista, dobbiamo aprire uno spazio pubblico di discussione su questo. In particolare vedo alcuni nodi che devono essere discussi a fondo. In primo luogo dobbiamo capire meglio la realtà sociale nella sua articolazione attuale. Troppo spesso parliamo della società in modi generici e prive di determinazioni reali. Pensiamo solo alla realtà giovanile per non fare che un esempio. In secondo luogo dobbiamo fare un salto di qualità nella proposta politica per quanto riguarda la crisi, di cui siamo in grado di descrivere gli effetti ma non di avanzare proposte chiare, a partire dal nodo del rapporto con l’Europa. In terzo luogo il tema della ridefinizione del rapporto tra la società e la politica intrecciato con il tema della crisi della politica. In questo ambito affrontare il nodo specifico del rapporto tra il nostro partito e la società, della ridefinizione del ruolo di un partito comunista oggi. Basti pensare all’intuizione del partito sociale che è diventata solo molto parzialmente un terreno di azione concreta.

Ho citato questi punti politici da affrontare non perché li ritenga esaustivi ma perché ritengo necessario che dobbiamo partire dalla sconfitta elettorale per fare un salto di qualità nell’analisi, nella proposta politica e nella capacità di innovare, non chiuderci in noi stessi.

3/01/2013

Il Movimento 5 stelle ha difeso il sistema


Wu Ming
Adesso che il Movimento 5 stelle sembra aver “fatto il botto” alle elezioni, non crediamo si possa più rinviare una constatazione sull’assenza, sulla mancanza, che il movimento di Grillo e Casaleggio rappresenta e amministra. Il M5S amministra la mancanza di movimenti radicali in Italia. C’è uno spazio vuoto che il M5S occupa… per mantenerlo vuoto.
Nonostante le apparenze e le retoriche rivoluzionarie, crediamo che negli ultimi anni il Movimento 5 stelle sia stato un efficiente difensore dell’esistente. Una forza che ha fatto da “tappo” e stabilizzato il sistema. È un’affermazione controintuitiva, suona assurda, se si guarda solo all’Italia e, soprattutto, ci si ferma alla prima occhiata. Ma come? Grillo stabilizzante? Proprio lui che vuole “mandare a casa la vecchia politica”? Proprio lui che, dicono tutti, si appresta a essere un fattore di ingovernabilità?
Noi crediamo che negli ultimi anni Grillo, nolente o volente, abbia garantito la tenuta del sistema.
Negli ultimi tre anni, mentre negli altri paesi euromediterranei e in generale in occidente si estendevano e in alcuni casi si radicavano movimenti inequivocabilmente anti-austerity e antiliberisti, qui da noi non è accaduto. Ci sono sì state lotte importanti, ma sono rimaste confinate in territori ristretti oppure sono durate poco. Tanti fuochi di paglia, ma nessuna scintilla ha incendiato la prateria, come invece è accaduto altrove. Niente indignados, da noi; niente #Occupy; niente “primavere” di alcun genere; niente “Je lutte des classes” contro la riforma delle pensioni. Non abbiamo avuto una Piazza Tahrir, non abbiamo avuto una Puerta de Sol, non abbiamo avuto una Piazza Syntagma. Non abbiamo combattuto come si è combattuto – e in certi casi tuttora si combatte – altrove. Perché?
I motivi sono diversi, ma oggi vogliamo ipotizzarne uno solo. Forse non è il principale, ma crediamo abbia un certo rilievo.
Da noi, una grossa quota di “indignazione” è stata intercettata e organizzata da Grillo e Casaleggio – due ricchi sessantenni provenienti dalle industrie dell’entertainment e del marketing – in un franchise politico/aziendale con tanto di copyright e trademark, un “movimento” rigidamente controllato e mobilitato da un vertice, che raccatta e ripropone rivendicazioni e parole d’ordine dei movimenti sociali, ma le mescola ad apologie del capitalismo “sano” e a discorsi superficiali incentrati sull’onestà del singolo politico/amministratore, in un programma confusionista dove coesistono proposte liberiste e antiliberiste, centraliste e federaliste, libertarie e forcaiole. Un programma passepartout e “dove prendo prendo”, tipico di un movimento diversivo.
Fateci caso: il M5S separa il mondo tra un “noi” e un “loro” in modo completamente diverso da quello dei movimenti di cui sopra.
Quando #Occupy ha proposto la separazione tra 1 e 99 per cento della società, si riferiva alla distribuzione della ricchezza, cioè va dritta al punto della disuguaglianza: l’1 per cento sono i multimilionari. Se lo avesse conosciuto, #Occupy ci avrebbe messo anche Grillo. In Italia, Grillo fa parte dell’1 per cento.
Quando il movimento spagnolo riprende il grido dei cacerolazos argentini “Que se vayan todos!”, non si sta riferendo solo alla “casta”, e non sta implicitamente aggiungendo “Andiamo noi al posto loro”. Sta rivendicando l’autorganizzazione autogestione sociale: proviamo a fare il più possibile senza di loro, inventiamo nuove forme, nei quartieri, sui posti di lavoro, nelle università. E non sono le fesserie tecnofeticistiche grilline, le montagne di retorica che danno alla luce piccoli roditori tipo “parlamentarie”: sono pratiche radicali, mettersi insieme per difendere le comunità di esclusi, impedire fisicamente sfratti e pignoramenti eccetera.
Tra quelli che “se ne devono andare”, gli spagnoli includerebbero anche Grillo e Casaleggio (inconcepibile un movimento comandato da un milionario e da un’azienda di pubblicità!), e anche quel Pizzarotti che a Parma da mesi gestisce l’austerity e si rimangia le roboanti promesse elettorali una dopo l’altra.
Ora che il grillismo entra in parlamento, votato come extrema ratio da milioni di persone che giustamente hanno trovato disgustose o comunque irricevibili le altre offerte politiche, termina una fase e ne comincia un’altra. L’unico modo per saper leggere la fase che inizia, è comprendere quale sia stato il ruolo di Grillo e Casaleggio nella fase che termina. Per molti, si sono comportati da incendiari. Per noi, hanno avuto la funzione di pompieri.
Può un movimento nato come diversivo diventare un movimento radicale che punta a questioni cruciali e dirimenti e divide il “noi” dal “loro” lungo le giuste linee di frattura?
Perché accada, deve prima accadere altro. Deve verificarsi un Evento che introduca una discontinuità, una spaccatura (o più spaccature) dentro quel movimento. In parole povere: il grillismo dovrebbe sfuggire alla “cattura” di Grillo. Finora non è successo, ed è difficile che succeda ora. Ma non impossibile. Noi come sempre, “tifiamo rivolta”. Anche dentro il Movimento 5 stelle.