ASSEMBLEA NAZIONALE DI FIRENZE DEI SEGRETARI E DELLE SEGRETARIE DI RIFONDAZIONE COMUNISTA
Note introduttive di Ezio Locatelli*
“Organizzatevi
perché avremo bisogno di tutte le vostre forze” (Antonio Gramsci sul
primo numero de L’Ordine Nuovo, primo maggio 1919)
Saluto le
compagne e i compagni, lo faccio con molto calore guardando a questa
presenza numerosa, tanto più significativa in quanto non dettata da
obblighi di mandato ma dimostrazione di una volontà politica.
Guardando
a questa partecipazione credo anche che abbiamo centrato il titolo di
questa festa e di questo incontro – Ripartiamo! - che non vuole essere
semplicemente una esortazione, un appello al volontarismo. L’idea è
quella di un nuovo inizio, della possibilità di lavorare ad una
prospettiva ricostruttiva: ricostruttiva degli elementi di originalità,
di autonomia, di diversità di una forza comunista e, insieme,
ricostruttiva di un campo largo della sinistra. Una possibilità che c’è
in rapporto non soltanto ad una radicalizzazione degli elementi di crisi
e degli squilibri sociali ma ad una ripresa di movimenti conflittuali
che può ridare slancio alla nostra azione politica.
Nel dire questo,
ovviamente, abbiamo ben presente di uno scenario a più sfaccettature.
Una di queste sfaccettature dice di una crisi dei paradigmi dominanti
quali l’austerità e la competizione che va di pari passo al
dispiegamento di una volontà di potenza e di distruzione dei diritti del
lavoro e di cittadinanza, degli statuti sociali, degli spazi di
democrazia. Quanto accaduto in Grecia, l’imposizione di un accordo
capestro (un vero e proprio colpo di stato) contro un popolo e un
governo di sinistra che più di tutti, nell’isolamento più totale, hanno
provato a rovesciare le politiche di austerità, è solo la punta di un
iceberg di una politica di spoliazione portata avanti in tutta Europa.
Di una politica resa possibile - questo a me sembra il punto
fondamentale di giudizio - da uno squilibrio di forze in campo. Questo
squilibrio ha reso ancora più evidente l’impossibilità di praticare la
via della giustizia sociale in un Paese solo. Se come ha detto un alto
dirigente di Syriza “i nostri avversari hanno vinto una battaglia ma la
guerra continua” allora diventa indispensabile l’allargamento della
lotta alle politiche di austerità, della lotta di classe nei diversi
Paesi, lo diventa non dividendosi ma rimanendo uniti. La qual cosa ci
riporta anche e soprattutto ai nostri compiti e alle nostre
responsabilità.
Da più parti è stato giustamente rilevato che quello
che abbiamo di fronte è un capitalismo finanziario globale con una
vocazione totalitaria. Una forma di capitalismo che rivela una
incompatibilità di fondo con ogni forma di sovranità democratica. Detto
ciò penso che sarebbe sbagliato vedere in questa regressione solo una
manifestazione di forza, una barbarie neoliberista, e non il riflesso di
una crisi di egemonia, la reazione ad una crisi di credibilità e di
carenza di risultati. Una difficoltà a cui si è cercato di rimediare (da
parte della Germania) in qualche modo con l’operazione di immagine sui
profughi, operazione che non può rimuovere in alcun modo l’altro
capitolo di un fallimento: la globalizzazione come saccheggio
neocoloniale delle risorse. La brutalità della soluzione di forza
imposta alla Grecia dice anche questo, di una difficoltà, di una caduta
di credibilità dei padroni dell’Europa in una fase che non è più
espansiva ma di grande instabilità, di crisi dei processi di
accumulazione capitalistici. Mi rifaccio alle parole di Ulrich Beck
efficacissimo, poco prima della sua scomparsa, nel descrivere ciò che
stava accadendo nel bel mezzo di una crisi destinata ad autoalimentarsi,
a durare nel tempo in ragione delle restrizioni che essa stessa
imponeva:”Questa crisi sta distruggendo il credo di un sistema”. Io
credo che questa sia, precisamente, la chiave di lettura del processo in
atto: un distacco di senso comune in conseguenza del crollo di autorità
e di presa sociale di un sistema che disconosce qualsiasi principio di
giustizia e solidarietà.
Per tutte queste ragioni penso che al di là
delle battute d’arresto, delle operazioni di immagine, dell’ultima
battaglia persa in Grecia, non siamo ad alcun processo di
normalizzazione. Al contrario, tanti segnali dicono che siamo soltanto
all’inizio di un’ondata di contestazioni destinate ad allargarsi a
macchia d’olio anche nel nostro Paese. Le lotte, le manifestazioni, gli
scioperi che ci sono stati negli ultimi mesi, ultime in ordine di tempo
le mobilitazioni in difesa della scuola pubblica, ci dicono che siamo
arrivati ad un punto in cui le scelte di governo – un governo che
incarna perfettamente il punto di vista dei mercati finanziari - si
fanno più chiare. In molti cominciano a rendersi conto che la strada
seguita per l’uscita dalla crisi, peggio che ai tempi di Berlusconi, è
una strada non solo priva di riscontri positivi ma che sta facendo danni
a non finire sul piano della democrazia, dei diritti sociali, del
lavoro. Una strada destinata a sollevare un’onda critica di massa.
Certo, il problema è anche e soprattutto come riuscire a unificare e
dare identità alternativa a forze che di per sé vivono una condizione di
frammentazione e spoliticizzazione.
Credo che noi siamo in un
passaggio ambivalente per quanto riguarda i possibili sbocchi delle
contraddizioni aperte, ma per l’appunto in ragione di questa
ambivalenza, anche un passaggio che può riaprire spazi politici. Io
credo che al nostro interno, tante volte, vi è una discussione ancora
troppo riferita al quadro preesistente, al quadro della sconfitta, della
passivizzazione di massa. Rispetto a quel quadro che ha variato in
negativo la nostra soggettività permangono sì tante difficoltà. Ma detto
ciò, alla base del cambio di passo di cui abbiamo parlato nella nostra
Conferenza di Organizzazione, vi è la ripresa di una dinamica di
movimento per la quale torna possibile il formarsi di una soggettività
critica, torna possibile agire non più solo la resistenza ma il tema del
cambiamento. Relativamente a questa possibilità va ridefinito il nostro
modo di fare politica. Utilizzo le parole di Aldo Bonomi per mettere a
fuoco questa necessità:“ se la statualità è sempre più artefice e
garante del capitalismo mercantile e sempre meno centro redistributivo
delle risorse la funzione di un partito cambia”. Cambia, aggiungo, anche
in considerazione di un quadro politico che tende a sospingere fuori
tutto ciò che non è assimilabile al determinismo di mercato. Una
politica di esclusione che fa rinascere la destra populista, la destra
sociale.
Sia chiaro: noi dobbiamo evitare il rischio di farci
rinchiudere in un recinto protestatario, di sprofondare nell’autonomia
del sociale ragion per cui non si tratta di disconoscere l’importanza
della dimensione istituzionale, della rappresentanza politica,
dimensione che dobbiamo riguadagnare. Il problema è un altro: la rimessa
in primo piano, cos’ come deve essere per una forza di trasformazione,
del nostro rapporto con la società civile e i luoghi di lavoro. In ciò
noi rimaniamo ancorati a una delle lezioni fondamentali di Antonio
Gramsci secondo il quale il luogo storico della rivoluzione è sempre la
società civile
Ecco perché rispetto alla deriva omologante che ha
imperversato anche a sinistra - una idea riduttiva della politica
incentrata sulla dimensione elettorale, sulla sfera separata dei
rapporti istituzionali e sulle risorse che essa garantiva: gruppi e
competenze istituzionali, visibilità mediatica, finanziamento pubblico,
ecc. – va attuato un rovesciamento di visione e di impegno: la priorità
deve tornare al partito strumento per cambiare la società. Noi dobbiamo
lavorare in questa direzione, cercando di far diventare tutta una serie
di difficoltà contingenti, legate ai meccanismi di esclusione
istituzionale, stimolo per una scelta di fondo: quella di tornare ad
essere un corpo vivo ed operante. Obiettivo che necessita di una rimessa
in moto di tutte le riserve di energia attualmente a disposizione ma,
oltre a ciò, di una innovazione del modello di organizzazione.
Su
questo punto abbiamo fatto una conferenza di organizzazione che ha
prodotto un documento e riflessioni di grande utilità cui fare
riferimento. In questa sede mi limito a dire della necessità che abbiamo
di ristabilire il nesso “teoria – pratica”. Abbiamo già detto di una
crisi che ha ricadute materiali pesantissime in termini di
disoccupazione, riduzione dei redditi, consumi, tutele sociali. A fronte
di questa situazione non è più possibile rimanere sul piano della mera
denuncia e propaganda. Tanto più se vogliamo dare dimostrazione di una
diversità politica: i comunisti, le comuniste non sono quello che dicono
ma quello che fanno. Da qui l’esigenza di stare sul terreno, oltre che
del conflitto sociale, dei bisogni fondamentali, delle aspettative
sociali con pratiche solidaristiche, mutualistiche, di autorganizzazione
concreta a difesa dei diritti e della dignità delle persone.
Chiamiamole pratiche del partito sociale o in altro modo - io le chiamo
risposte di comunismo allo stato pratico – sapendo anche di pratiche
necessarie per ricostruire legami sociali, processi di sensibilizzazione
e soggettivazione politica.
Nel dire di questa ridefinizione del
modo di fare politica sappiamo bene di dover fare i conti con un
problema, non di pronta soluzione, rappresentato dalla consistenza e
dalla disponibilità contenuta di compagne e compagni, di quadri
politici. In questo, bisogna saperlo, non esistono formule organizzative
costruite a tavolino in grado di risolvere i nodi fisiologici che
accompagnano la condizione di esistenza di un partito. Vi è un salto di
qualità che si nutre dell’attenzione quotidiana, giorno dopo giorno, ai
problemi dell’organizzazione, della partecipazione dei compagni, del
funzionamento dei Circoli. Altro che chiedere congressi straordinari ad
ogni piè sospinto. Qui c’è la necessità di una presa in carico delle
responsabilità che competono a ognuna e ognuno di noi. Ciò che dobbiamo e
possiamo fare è lavorare di più sulla nostra soggettività, sulla nostra
capacità di direzionalità diffusa.
Rispetto alle indicazioni emerse
in sede di Conferenza di organizzazione, al pacchetto d’insieme delle
cose da fare penso che vadano individuate delle priorità che sono
basilari, che reggono l’impianto organizzativo del nostro partito.
Queste priorità sono contenute nell’ordine del giorno approvato in
occasione dell’ultima direzione nazionale. Richiamo alcuni passaggi:
1)
Il bisogno che abbiamo di organismi motivati, qualitativamente in grado
di far funzionare l’intero partito, di garantire un costante flusso di
proposte, di produrre sollecitazioni. Per quanto ci riguarda più
direttamente noi abbiamo fatto una scelta: quella di andare alla
costituzione di un ufficio organizzativo grazie alla disponibilità di
compagne/i volontari. Non un organismo burocratico ma di lavoro:
l’organizzazione e la riorganizzazione del partito in un rapporto più
puntuale con i regionali, con le federazioni a cui chiediamo di fare la
loro parte, di individuare in maniera più puntuale responsabilità e
disponibilità che stiano in una relazione propulsiva con i rispettivi
territori;
2) la necessità di un rafforzamento della rete dei nostri
iscritti, questione basilare per l’esistenza e il sostentamento del
nostro partito. Di un partito che pure indebolito, dopo anni di
sconfitte e di disorientamento diffuso, rimane uno strumento tutt’altro
che irrilevante ai fini della battaglia politica e dell’evoluzione dei
processi unitari a sinistra. Il dato del versamento del 2xmille, a dir
poco straordinario, molto al di là di qualsiasi aspettativa, dice di un
partito che c’è, di una base importante di simpatia e di sostegno. Una
clamorosa smentita di chi, con in testa altri lidi, ci voleva far
credere di una Rifondazione Comunista esaurita, finita, al capolinea.
Nel lavoro di prima ricognizione che abbiamo fatto, con i segretari
provinciali e i responsabili del tesseramento, abbiamo ricavato
un’impressione netta: l’esistenza di non pochi margini di recupero
rispetto alla condizione di sfilacciamento di questi ultimi anni. Non
pochi sono gli iscritti persi per strada più che per ragioni politiche
per imperizia, noncuranza, mancato coinvolgimento. Ancor oggi ci sono
realtà che di fatto non hanno ancora iniziato il tesseramento. Ma detto
ciò basta con l’autolesionismo. Per questo chiedo di uscire da questo
incontro con l’impegno di un recupero dei ritardi che ci sono a livello
di alcuni territori. E insieme a ciò l’impegno di prestare più
attenzione alla promozione di una nuova generazione di iscritte/i.
Obiettivo: migliorare la fisionomia di una base del partito che in
tutta una serie di realtà – lo dico con grande senso di rispetto - è
una base vecchia e poco militante. I segnali positivi non mancano come
dimostra il numero triplicato di richieste di adesioni online, per lo
più di giovani. Segnali che vanno raccolti dando il senso di una
maggiore apertura, di maggiore considerazione per lo sguardo sul mondo
che hanno le nuove generazioni, per il loro bisogno di un mutamento
praticato di contro a una certa idea della politica come cosa separata
(importante sarà la Conferenza dei Giovani Comunisti del 24/25 ottobre).
Usciamo da questa assemblea con una indicazione di lavoro: oltre a una
ripresa del tesseramento per linee interne (i contatti con i compagni,
le feste di tesseramento, ecc.), disponiamoci per il secondo fine
settimana di ottobre per una campagna politica rivolta all’esterno, da
organizzare in tutte le principali piazze con gazebo, mostre,
distribuzione di materiale, comizi volanti in cui porre esplicitamente
la questione dell’adesione al Partito della Rifondazione Comunista;
3)
la necessità di un miglioramento dei nostri canali di comunicazione
interna ed esterna. Non ci basta fare tante cose. Bisogna che le cose
che facciamo diventino oggetto di conoscenza, di attenzione. Noi non
dobbiamo rinunciare alla battaglia per una informazione corretta, per
guadagnare l’accesso ai mass media contro il clima di censura che
colpisce il nostro partito. Ma oltre a ciò va detto di un problema
tutto nostro, di nostra iniziativa di informazione, di comunicazione.
Sia chiaro noi non pensiamo alla comunicazione come sostituto
dell’azione (il partito di aria fritta e di soli comunicati stampa,
tanto per capirci) ma come necessità di uscire dal limite della notizia
per poche persone, come necessità di dare risonanza al lavoro politico.
Per questo chiediamo che ogni realtà si doti di strumenti di
collegamento, di informazione, di attivazione politica. Anche a livello
nazionale vanno potenziati i nostri canali di comunicazione
cominciando dalle cose minime, non per questo meno impegnative. Va fatto
un lavoro di raccolta, aggiornamento, informatizzazione dei nostri
indirizzari. Lavoriamo all’uscita di una testata online nazionale;
4)
la predisposizione di una politica dell’autofinanziamento. Accanto alle
cose che tradizionalmente si sono fatte o che si dovranno tornare a
fare (le sottoscrizioni, raccolta dei RID, le feste di partito – là
dove non si fanno feste di partito locale se ne faccia almeno una a
livello regionale - e quant’altro) penso che dobbiamo estendere alcune
esperienze positive – per esempio i centri di assistenza fiscali – che,
in collaborazione con associazioni, possono essere giocate sul doppio
versante del sostentamento del partito a livello locale e nazionale.
Così come dobbiamo predisporci, ad un’opera sistematica di
pubblicizzazione, di presa di contatto con associazioni e Caf vari volta
ad allargare la platea di riferimento riguardo il versamento del
2xmille per il nostro partito;
5) la programmazione di momenti di
formazione, su cui troppo poco si è investito, presi dalla necessità di
dover stare sul piano della quotidianità politica. Va bene che si stia
su questo piano ma non a scapito dell’innalzamento della capacità
critica delle compagne e dei compagni. Ai regionali va chiesto di
mettere in campo un’attività formativa che abbia come riferimento
risorse e responsabilità messe a disposizione del partito nazionale;
6)
la riorganizzazione delle nostre sedi politiche – dove non abbiamo sedi
individuiamo altri spazi pubblici– in funzione del rilancio del partito
come strumento di battaglia politica e di organizzazione sociale con al
centro i temi del lavoro. Facciamo in modo che le nostre sedi, oltre
che sedi politiche, diventino luoghi di riferimento utili per le
lavoratrici e i lavoratori, i pensionati, i migranti, i soggetti più
deboli colpiti dalla crisi. Impegniamoci a costruire sportelli sociali,
per il diritto alla casa, i diritti dei migranti, gruppi di acquisto
popolari, centri di assistenza fiscale, centri ricreativi culturali e
tutto ciò che può contribuire a rendere vitale e attrattiva la nostra
presenza politica. Vorrei citare a questo proposito le parole di una
signora licenziata poco tempo fa, con figlio invalido a carico, per la
quale abbiamo bloccato questa settimana uno sfratto esecutivo grazie ad
un presidio di Rifondazione Comunista. Questa signora tra gioia e
lacrime ci ha detto: “diversamente da mia madre che era comunista io non
mi sono mai interessata a nulla. Adesso, vedendo quello che avete fatto
questa mattina, ho capito cosa vuol dire essere comunisti, ho visto
voi come miei fratelli e sorelle”. Ecco penso che in virtù di una azione
dobbiamo ambire a far diventare questo pensiero senso comune.
Per
finire, tutte queste questioni vanno affrontare non certo con l’idea,
del tutto campata in aria, dell’autosufficienza. Crollato il campo
politico della sinistra molte questioni sono cambiate. Una di queste è
molto semplice, attiene all’intorno sociale e politico, all’acqua in cui
nuotiamo, a un problema di efficacia politica. Nuotare all’asciutto o
in un bicchiere d’acqua non conviene. Ecco perché insieme alla
riorganizzazione di Rifondazione Comunista il tema cruciale è quello
della ricostruzione di uno spazio politico della sinistra italiana. Noi
dobbiamo contribuire attivamente alla ricostruzione di questo spazio
stando in relazione con tutto ciò che a sinistra e nei movimenti si
muove in alternativa al neoliberismo
Ultima questione: la necessità
di un miglioramento del clima politico interno. Abbiamo attraversato
anni di disorientamento e di crisi della politica che hanno indotto alla
divisione. A fronte del blocco delle forze dominanti, che lavora per
questa divisione, noi dobbiamo decidere se anteporre la ricerca
dell’unità, della coesione delle nostre forze oppure se avvallare la
strategia dell’avversario: dividi et impera. Per questo la discussione
libera a cui siamo chiamati non può che essere rispettosa delle regole
di vita interna, mirare sempre al merito e ai contenuti politici senza
settarismi, esasperazioni, particolarismi il cui unico risultato è di
intaccare il senso di appartenenza a una comunità politica cui facciamo
tutte e tutti facciamo parte, senza esclusioni di sorta, in quanto
liberamente comuniste e comunisti! Aggiungo: senza mai dimenticare che
la nostra alterità vera, oltre che sul piano della linea, risiede nella
pratica politica, nelle lotte che promuoviamo, nelle idealità che
suscitiamo. Questo è il carattere dell’impegno che dobbiamo portare
avanti.
Chiudo col dire che nella traccia di lavoro che abbiamo
proposto vi sono molte caselle vuote che dovranno essere riempite con la
discussione e l’agire politico. Come diceva il poeta Antonio Machado
“il cammino dell’emancipazione si fa solo camminando”. Siamo tornati
quest’anno a fare la nostra festa nazionale in una città importante come
Firenze dove da cinque o sei anni non si facevano feste. Anche questo
parla della volontà di riprendere un cammino per il rilancio di
Rifondazione Comunista e insieme dell’unità della sinistra. Insomma care
compagne e compagni “Ripartiamo!”. E con questo spirito che auguro a
ognuna e ognuno di noi e a tutto il partito un buon lavoro di
riflessione, di ripresa dell’impegno e dell’iniziativa politica.
*segreteria nazionale Prc-Se, responsabile organizzativo
Firenze, 13
settembre 2015