di Roberta Fantozzi -
La manifestazione promossa dalla Fiom per il 18 maggio è importante per
molti motivi. Perché rompe il vuoto di mobilitazioni tanto più grave
mentre la crisi si dispiega con tutta la sua violenza e chi ne è colpito
rischia di rimanere con il carico di una sofferenza solitaria. Perché
parte dalle metalmeccaniche e dai metalmeccanici ma ha l’obiettivo di
ricomporre il mondo del lavoro, frammentato e precarizzato, a partire
dalle parole d’ordine del blocco dei licenziamenti e della riduzione
d’orario, della riconquista del contratto senza deroghe, del salario
orario minimo e del reddito di cittadinanza. Perché mette in campo una
piattaforma che parla della necessità di un cambio generale e radicale
di rotta, che rimetta in connessione i soggetti colpiti dalla crisi e le
diverse realtà di movimento.
La manifestazione si colloca in un contesto regressivo e drammatico. Con
un governo che è la negazione della richiesta di cambiamento uscita
dalle urne. Un governo che da un lato ha esplicitato il proprio
obiettivo di un’ulteriore torsione autoritaria del sistema
istituzionale, e che sul versante sociale si dispone in continuità con
le politiche di austerità, di cui al massimo si cerca di attenuare a
dosi omeopatiche la stretta. Il dibattito pubblico è egemonizzato dal
tema dell’Imu, senza che nessuno dica che alla giusta eliminazione della
tassazione sulla prima casa non di lusso, dovrebbe corrispondere una
patrimoniale progressiva sulle ricchezze immobiliari e finanziarie,
mentre a malapena si ragiona di risposte parzialissime al
rifinanziamento degli ammortizzatori in deroga, con stanziamenti
ipotizzati del tutto insufficienti rispetto ad un fabbisogno stimato in
non meno di 3 miliardi per il 2013. E se non è chiaro se si vuole
procedere – come proposto dallo stesso Letta – ad un ulteriore
precarizzazione del lavoro, il Ministro Giovannini si mostra soddisfatto
degli esiti della riforma Fornero, non importa se è calata ancora la
quota di assunzioni a tempo indeterminato mentre proliferano i contratti
di brevissima durata.
Eppure la situazione è drammatica come non mai. Lo è negli indicatori
sociali come nelle previsioni di quel che accadrà senza un rovesciamento
delle politiche sin qui fatte. Continua a diminuire il Pil, con stime
riviste sempre in peggio, mentre le manovre dei governi Berlusconi e
Monti, con i loro 125 miliardi di impatto per gli anni fino al 2014, non
hanno ancora dispiegato tutti i loro effetti recessivi.
Non si sono ancora dispiegati gli effetti della spending review sulla
sanità, in un paese in cui il sistema pubblico e universale è già in
discussione, con nove milioni di persone che hanno smesso di curarsi
perché non ce la fanno a pagare i ticket. Né gli effetti sull’incremento
della disoccupazione, di quel gigantesco aumento dell’orario di lavoro
nell’arco della vita che è la controriforma Fornero delle pensioni. Né
il potere destrutturante dell’articolo 8 e della cancellazione
dell’articolo 18. Ed a questo quadro deve aggiungersi la folle ricetta
del Fiscal Compact, la cui attuazione non è ancora iniziata. Per questo è
necessario riprendere un percorso duraturo di iniziative, sul terreno
del conflitto sociale come su quello della ricostruzione di percorsi
unitari di una sinistra antiliberista, tema decisivo e non risolto dalla
pluralità di «costituenti» che avanzano in parallelo. Intanto ci pare
importante avanzare una proposta a chi domani sarà in piazza, alle forze
che si collocano all’opposizione del governo Letta, e a chiunque voglia
dare il proprio contributo.
E’ quella di rilanciare la campagna referendaria che lo scioglimento
anticipato delle urne ad opera di Napolitano ha vanificato.
Sull’articolo 8, il 18, sulle pensioni, l’abolizione della diaria dei
parlamentari ed anche sulla precarietà, la costruzione di uno
schieramento ampio che si proponga di raccogliere le firme entro il 30
settembre, consentirebbe di votare i referendum nel 2014.
* Segreteria nazionale Prc
Il Manifesto – 17.05.13
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